Identità di genere · Società Italiana Sessuologia ed educazione Sessuale

Identità di genere

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  • 17 Settembre 2014

Se è vero che gli esseri umani incontrano la loro natura apprendendola dagli altri, non fa eccezione quella particolare esperienza di sé che chiamiamo identità. Sono i significati sociali attribuiti al proprio corpo, l’educazione, i modelli di comportamento, le attese degli altri e le prescrizioni legate al ruolo di genere, che consentono ad ogni persona di scoprire da e per se stessa una particolare versione dell’identità personale. Possiamo definire l’identità personale come un costrutto cognitivo, emotivo e comportamentale in cui si interfacciano due processi:

a) l’attribuzione di caratteristiche proprie del ruolo di genere di appartenenza o assegnato (aspetto sociale);

b) l’elaborazione individuale di queste caratteristiche in relazione a se stessi e agli altri (aspetto psicologico).

I due processi connessi alle attribuzioni di ruolo ed alla rappresentazione di sé, pur non coincidendo in modo speculare, interagiscono attraverso gli schemi e le regole di comportamento che l’individuo interiorizza. Le regole di condotta, ad esempio, interferiscono con l’identità in due modi: direttamente, come obblighi o prescrizioni, stabilendo come la persona debba comportarsi; indirettamente, come aspettative, definendo il modo in cui gli altri sono costretti ad agire nei suoi confronti (Salvini, 1993). La società, insomma, predispone modalità, situazioni sociali, palcoscenici adatti per la sua esibizione (Goffman, 1977; Inghilleri e Ruspini, 2011).

L’identità personale non è qualcosa di unitario e di stabile nel tempo e nelle differenti situazioni. L’identità di ciascuno è biograficamente mutevole, adeguandosi ai diversi ruoli, impersonandone sentimenti e comportamenti. Lo sforzo di integrazione tra le diverse espressioni dell’identità personale dà un senso di continuità e di stabilità solo apparente: dietro di esso, infatti, ognuno di noi sa di sperimentare un’immagine di sé contraddittoria, ora discontinua, ora conflittuale, la cui coerenza è data solo dall’effetto di verosimiglianza di una narrazione. In più, l’identità non è un fatto privato, in quanto è influenzata dalle relazioni interpersonali significative, dai contesti di appartenenza e da come ogni individuo decide di adeguare il suo modo di essere ad una certa immagine pubblica e storica del personaggio attraverso cui si identifica e vuole essere riconosciuto.

Attraverso l’identità personale gli esseri umani non solo hanno un’esperienza cognitiva ed emotiva di sé ma sono in grado sia di elaborare ed integrare in modo coerente l’informazione esterna ed interna che li riguarda, come ad esempio quella somatica (propriocettiva e dimorfica) e relazionale (simbolica, espressiva e comportamentale), sia di codificarla sotto forma di memoria autobiografica, conferendo alla storia soggettiva coerenza retrospettiva e continuità futura, sia di selezionare ed attuare i repertori di comportamento più adeguati alla propria identità di genere, sviluppando le relative competenze socialmente trasmesse (Salvini, 1993).

L’identità personale è anche un sistema di regole e di segni condivisi, attraverso cui l’individuo costruisce e dà vita a un’identità sociale. Mediante la capacità di utilizzare regole e significati, come ad esempio quelli relativi all’immagine di sé, l’individuo realizza atti comunicativi, producendo versioni di sé adatte al contesto e alle diverse forme di interazione e generando una vera e propria teoria su se stesso. L’identità personale risulta essere, infatti, sostenuta e realizzata attraverso due processi fondamentali: l’autoconsapevolezza, ovvero il flusso di esperienza soggettiva che ogni essere umano sperimenta, e l’autoregolazione, intesa come capacità riflessiva di automonitoraggio, corrispondente alla percezione che un essere umano ha di sé e delle proprie azioni. Per un individuo essere consapevole o essere a conoscenza di qualcosa corrisponde ad indicarsela. La persona è quindi in costante interazione con se stessa attraverso un processo sociale nel quale si dà indicazioni che usa per dirigere la propria azione: i significati che attribuiamo al mondo sono pertanto regole per il nostro agire.

Autoconsapevolezza ed autoregolazione compenetrano così tre dimensioni dell’identità personale: il concetto di sé (aspetto intrapersonale); la rappresentazione di sé (aspetto interpersonale e situazionale); l’identità tipizzata, ovvero condivisa da un gruppo o da una classe di individui (aspetto intra ed inter-gruppo).

Va tenuto presente che esiste una sovrapposizione tra l’identità sessuale (biologica) e quella personale, ossia esiste la tendenza ad una integrazione coerente tra aspetti legati agli aspetti sociali di cui è rivestita l’appartenenza sessuale (genere) e quelli legati agli aspetti più soggettivi con cui è rappresentata la propria individualità. Gli aspetti embrionali dell’identità sessuale funzionano da precursori dell’identità personale, dal momento che forniscono i riferimenti per l’identificazione ed i criteri di selezione e assimilazione delle caratteristiche psicologiche individuali sessualmente tipizzate.

Stando a tali prenmesse, quindi, l’identità di genere si definisce come la percezione e la consapevolezza che una persona può avere di sé come individuo sessuato maschile o femminile, oppure sessualmente indifferenziato (ovvero come persona che non si identifica necessariamente né con il genere femminile né maschile) o, per finire, come adrogino (ovvero come persona con caratteristiche compresenti sia maschili che femminili).
ll termine identità di genere, dunque, indica il genere in cui una persona si identifica (cioè, se si percepisce uomo, donna, o in qualcosa di diverso da queste due polarità) e non deriva necessariamente da quella biologica della persona, e non riguarda l’orientamento sessuale.
Esistono persone nelle quali l’identità di genere e sesso biologico non corrispondono (le persone transgender, transessuali e diversi individui intersessuali): questa discordanza provoca una serie di conflitti interiori e di sofferenze e prende il nome di “disforia di genere”  precedentemente diagnosticata come disturbo dell’identità di genere (DIG). Oltre a queste difficoltà individuali, le persone disforiche talvolta subiscono ulteriori complicazioni e sofferenze (tra cui mobbing, discriminazione, violenza) in quelle società o ambienti sociali in cui non vengono ammessi o accettati degli atteggiamenti di espressione sociale (ruolo di genere) differenti dal sesso biologico dell’individuo (transfobia).

 

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