Modello psicoterapeutico
Il contributo offerto dal costruttivismo kelliano (PCP) in campo sessuale risiede nel proporre uno sguardo alternativo rispetto ai presupposti dell’intervento psicoterapeutico, differenziandosi in radice da altri approcci centrati sull’eliminazione del sintomo, attraverso il ricorso a prescrizioni comportamentali o tecniche di ristrutturazione cognitiva delle cosiddette cognizioni disfunzionali sulla sessualità.
L’assunto da cui muove è che la persona attribuisca un senso a quanto sperimenta in campo sessuale e che il sintomo rappresenti la scelta più elaborativa alla luce delle possibilità e dei vincoli del più ampio sistema in cui esso si colloca, con ciò intendendo la visione generale che la persona ha di se stessa, dell’altro (partner) e della coppia. Il clinico è quindi, attivamente, coinvolto nel comprendere come mai la persona non riesca a fare nulla di diverso da ciò che fa (stallo) e nell’esplorare assieme quali nuovi sguardi siano possibili, quali “strade” siano ancora percorribili.
In tal senso, il cambiamento viene a configurarsi come “dissoluzione” del sintomo, piuttosto che come eliminazione dello stesso. Lo scopo principale del trattamento è quello di promuovere un diverso modo di fare e di stare di fronte al problema sessuale. Questo, anche in virtù di due diversi ordini di ragioni:
1) In base alla teoria kelliana il passaggio dal fare qualcosa al fare qualcos’altro (modificazione comportamentale rispetto alla difficoltà sperimentata in campo sessuale) costituisce un cambiamento per contrasto, tale per cui la persona finisce per muoversi da un polo all’altro di una stessa dimensione di significato, lasciando intatta la dimensione di significato stessa (es. passare da una condotta sessuale sregolata ad una condotta morigerata). Tale movimento è piuttosto semplice da favorire e realizzare. Tuttavia, risulta spesso superficiale e poco duraturo, in quanto comporta il rischio che la persona vada incontro a criticità non anticipate e giunga a fare i conti con le implicazioni – talvolta profonde e significative – che il cambiamento comportamentale può avere rispetto ad altri aspetti della più ampia visione generale di sé, degli altri e del mondo. Ciò può rappresentare una fonte di minaccia e smarrimento per la persona, al punto da rendere preferibile il ritorno sui propri passi, all’interno di un territorio “mappato” e familiare, per quanto fonte di malessere e sofferenza.
2) Spesso e volentieri la richiesta di modificazione del comportamento in ambito sessuale sottende tutta una serie di impliciti assunti di carattere normativo e performativo riguardo alla sessualità: l’idea che ci sia un modo “giusto” di vivere la sessualità, l’idea che esistano modalità più “corrette” di altre rispetto allo stare in intimità con l’altro, l’idea che il “fare sesso” secondo certi schemi e criteri stabilisca qualcosa circa la propria capacità come partner sessuale (aspetto legato al ruolo) o la propria idoneità come uomo/donna (aspetto legato all’identità). Aiutare la persona a modificare il comportamento nella direzione attesa e desiderata non solo impedisce di far emergere quale sia la natura del disagio sperimentato in ambito sessuale, ma rischia di entrare in collusione con i presupposti da cui nasce la richiesta di aiuto, concorrendo a perpetrare lo stallo e a rafforzare i fattori critici che alimentano il malessere sperimentato dalla persona.
“La psicoterapia deve concentrarsi sulla creazione di nuove /ipotesi/previsioni che costituiscano un livello più elevato verso l’invenzione di un nuovo sistema di significati, piuttosto che cercare di riparare o rattoppare i guasti del sistema corrente”. (George Kelly)
I presupposti epistemologici
Il costruttivismo ritiene che lungi dall’essere oggettiva, stabile ed astorica, la realtà sia sempre e comunque una realtà per qualcuno. Non si impone su colui che ne fa esperienza, stabilendo la direzione dei cambiamenti. Non è indipendente dall’osservatore – che è anzi parte attiva ed integrante del fenomeno osservato – e dalle sue peculiari modalità di organizzare il mondo in modo comprensibile. Solo ciò che risulta essere “significativo” per la persona può, quindi, innescare “perturbazioni” (Maturana & Varela, 1987). E’ lo sguardo che determina ciò che vediamo, operando discriminazioni e canalizzando quello che possiamo fare, tentare, osare o viceversa evitare ed allontanare.
Se la conoscenza non si dà al di fuori dell’esperienza (Von Glasersfled, 1995), il disturbo sessuale non può essere ritenuto alla stregua di un mero fenomeno corporeo, tale per cui la percezione che ne hanno le persone – con ciò intendendo il modo in cui lo vivono sulla propria pelle, in relazione alla loro identità ed esistenza – è il risultato dei processi fisiologici o meccanici coinvolti. Esso va piuttosto considerato come l’interpretazione di un evento, le cui caratteristiche sono dipendenti e specificate dal più ampio sistema che ne fa conoscenza (Giliberto, 2014), ossia la persona considerata nella sua totalità.
Un ulteriore assunto riguarda il monismo, in virtù del quale mente e corpo non costituiscono due sostanze ontologicamente distinte, ma sono frutto della discriminazione operata da un osservatore. Il disturbo sessuale – così come viene percepito dalla persona – non costituisce allora un dato oggettivo, ma si configura come uno dei modi possibili di organizzare la conoscenza. Altri sguardi, altri modi di conoscerlo e comprenderlo diventano pertanto plausibili ed esplorabili (Giliberto, 2014).
Ed ancora, corpo e mente rappresentano due domini conoscitivi diversi, non causalmente riconducibili l’uno all’altro, ossia non legati da una relazione esplicativa per la quale ciò che accade al corpo spiega ciò che accade alla mente o viceversa. Il loro rapporto è di interdipendenza e di co-emergenza (Gilberto, 2014).
Il disturbo sessuale
In termini costruttivisti kelliani il cosiddetto “disturbo” in campo sessuale viene considerato come un blocco o “arresto” nel processo di elaborazione del sistema (ossia il peculiare modo in cui ciascuna persona conosce, conferendo significato all’esperienza che fa di sé, degli altri e del mondo) e non come un’entità indipendente ed esterna alla persona stessa. E’ tale nella misura in cui la persona continua ad agire sempre nello stesso modo, per quanto anticipi che esso sia fallimentare e fonte di disagio.
Il disturbo non viene, tuttavia, considerato come la reazione sbagliata a qualcosa o qualcuno, ma come il modo migliore di farvi fronte (soluzione). Non ha nulla di negativo o difettuale. Ciò, in quanto la persona sceglie per sé l’alternativa che permette di elaborare il proprio sistema, ovvero il modo migliore per far fronte ad una data difficoltà. Al fine di comprendere appieno la natura del disagio sperimentato a livello sessuale occorre, quindi, sempre considerare quale sia l’alternativa che la persona ha a disposizione e le ragioni per cui non sia percorribile. Ne segue che lo psicoterapeuta è attivamente impegnato nel comprendere come mai fare qualcosa di diverso diventi eccessivamente “costoso”.